venerdì 19 dicembre 2014

Claudia - Oggi scelgo io

"La soluzione ai problemi umani non può venire dalla ragione, perché proprio dalla ragione è all'origine di gran parte di quei problemi. La ragione è dietro all'efficienza che sta progressivamente disumanizzando le nostre vite e distruggendo la terra da cui dipendiamo. La ragione è dietro alla violenza con cui crediamo di metter fine alla violenza. La ragione è dietro alle armi che costruiamo e vendiamo in sempre maggiore quantità per poi chiederci come mai ci sono così tante guerre e tanti bambini che vengono uccisi. La ragione è dietro alla cinica crudeltà dell'economia che fa credere ai poveri che un giorno potranno essere ricchi mentre il mondo in verità si sta sempre più spaccando fra chi ha sempre di più e chi ha sempre di meno" (Tiziano Terzani, in "Un altro giro di giostra. Viaggio nel male e nel bene del nostro tempo).

La guida turistica definisce la Cambogia, come un'avventura piuttosto che una vacanza; come il luogo dove la vita notturna è cosa leggendaria e dove le famose Siem Reap e Phnom Penh al calar del sole offrono opportunità di divertimento imperdibili.

Bene.

La Cambogia, però, è anche il luogo dove spesso non si ha avuto e non si ha scelta.

Questa è la storia di un bambino che ha solo 13 anni quando i soldati di Pol Pot trasferiscono dall'oggi al domani lui e la sua famiglia ai lavori forzati. Ne ha 14 quando viene imprigionato per aver rubato del cibo per la sorella in fin di vita e viene liberato solo grazie a un sacrificio di un vecchio che si fa ammazzare in cambio della sua libertà.
Non ha scelta quando è  testimone di altre uccisioni. Né quando la madre, tra le lacrime lo obbliga a fuggire via.
Ma ecco che sceglie, quando da adulto,dall'America, decide di tornare a vivere in Cambogia e di fondare il DC-CAM, il centro di documentazione cambogiano per la memoria e la giustizia, perché per lui riconciliarsi significa responsabilità e obbligo per le vittime di poter rimettere insieme i frammenti.

La Cambogia è il luogo dove i bambini lavorano.
Dove, la gente rimasta senza nulla dopo il tempo di Pol Pot, si costruisce case di lamiera  (abusive) sull'acqua perché non può permettersi un pezzo di terra.
E' il posto dove la povertà estrema si respira e si vive anche in pieno centro città a pochi metri dal palazzo reale.
Dove se nasci in uno slum di certo non hai la possibilità di andare a scuola.

Questa é la storia di M. che ha 10 anni e che vive per strada. Questo piccolo dettaglio lo si può facilmente riconoscere dal fatto che è scalzo, sporco e ha i vestiti logori.
Non ha certo scelto di venire al mondo, ne tanto meno di nascere e crescere per la strada. 

Non ha scelto di dover svegliarsi ogni mattina con il pensiero di sopravvivere, ne tanto meno di sentire il peso della vita che un bambino di questa età dovrebbe semplicemente vedere con gli occhi della meraviglia.

Ma stasera ha scelto di fare qualcosa di diverso.

E' li che si aggira per i tavolini di un piccolo ristorante tipico; sparecchia, pulisce il tavolo, fa posto ai clienti che affollano il marciapiede. Chiede cosa desiderino da bere, chiede scusa quando inciampa in una borsa e il ghiaccio gli cade dal bicchiere. Sfodera anche qualche parola in inglese.
Sorride orgoglioso; segue con gli occhi le indicazioni che gli arrivano dai proprietari per indirizzarlo. Si sente fiero quando viene ringraziato per l'impeccabile servizio.
Alla fine della serata con le mance che raccoglierà (anche se non propriamente generose dato che da queste parti vale più l'offerta al monaco che al povero) probabilmente mangerà un bel piatto che potrà scegliere e non le briciole lasciate nei piatti dai clienti nel momento di andare via, come spesso accade.

Stasera M, ha scelto. Ha scelto di fare qualcosa per se, anche se per noi forse è difficile concepirlo.
Ha scelto di guadagnarsi il pane e non di aspettarlo. Ha scelto di mettersi in gioco, seppur a soli dieci anni. Ha scelto di fare qualcosa che lo fa sentire importante e bravo per qualcosa e che forse gli fa guardare al domani, anche solo per qualche ora, come il giorno in cui potrà svegliarsi e scegliere che fare.


Claudia

mercoledì 17 dicembre 2014

Francesco - La Giustizia Tradizionale a Timor: la non vittima

(vi scrivo da Hanoi, Vietnam da un pc locale causa blocco socialista dei miei dns... mi scuso per l'ortografia)


Siamo dell'idea che per capire le cose più grandi di noi sia necessario porsi innanzi a un bivio e scegliere una tra le due direzioni:
A- avere Fede
B- andare a fondo

Per capire come sia possibile sanare un trauma collettivo colmo di mille orrori e sciagure abbiamo optato per un cammino tortuoso e invasivo all'interno della societa' timorense. 

C'e' voluta tanta fede per farlo ma anche una certa rinuncia al giudizio, alla comprensione.

Se pensi di capire qualcosa dell'Asia, rassegnati. 
Questo e' stato l'unanime insegnamento/monito proferito da coloro che l'Asia l'hanno scelta per missione, coloro che hanno speso la vita in queste terre in cerca di fare del bene al prossimo e che possibilmente moriranno qui.

Guardare, non toccare e passare. 
Noi chiediamo e ci tuffiamo dentro le comunita' senza grosse pretese, cercando di non abusare con l'impronta delle nostre suole cosi' tanto pesanti (e forse inutili) se affiancate ai segni nudi e umili della gente di Timor.

Non esiste riparazione, senza riconciliazione. Non esiste riconciliazione, senza mediazione e alle volte, preferibilmente, senza il perdono.

Ma cosa vuol dire perdonare a Timor?

Per capirlo abbiamo scomodato politici, diplomatici, operatori di giustizia, famiglie religiose, giovani e intere comunita'.

Tutti e dico tutti ci hanno dato una sola risposta: la riparazione e' un negozio e il perdono e' pecunia.

Prendete l'ormai noto esempio del matrimonio a queste latitudini: il diritto alle nozze avviene solo dopo aver legittimamente provato la fertilita' della prescelta. 

Quando parlo di legittimita' parlo di tante cose. 

In primis cio' che e' legittimo e' cio' che la tradizione sancisce. 
Ove vige la tradizione c'e' sempre una comunita' che ha il compito di salvaguardarla attraverso l'adempimento degli obblighi di uso e costume
Tradotto: la consuetudine derivante da un'origine ormai persa nella notte dei tempi regna sovrana sulle vite dei futuri pargoli per mezzo del mandato comunitario. 

Comunita' intesa come insieme raggruppante clan e famiglie. 
Quindi, quando dico la legittimita' a provare la fertilita', dico che c'e' la famiglia di tizio che si accorda con la famiglia di tizia affinche' il tizio possa usare a suo piacimento il suo soldatino

Se Tizia rimane gravida, allora tizio promette dote. 
La dote e' sub-negozio, un' obbligazione contratta tra le due famiglie: Tot capi di bestiame (77 buoi o 77 cavalli) in cambio della mano della ormainonpiuvergine figlia. 

Questa obbligazione segna l'avvio di un nuovo diritto da esercitare quando e come si vorra': il diritto ad acquisire i futuri figli. 

Semplifico. 

Provata la fertilita' sicelebra un matrimonio gia' consumato, atto garantito tramite il "paghero'" della dote in bestiame. 
I capi di bestiame costano tanto e questo alle volte comporta un debito che difficilmente verra' estinto dallo sposo (giovane, giovanissimo) nel corso della sua intera vita. 
Se tale debito perdurera' nel tempo, la famiglia di lei diventera' legittimamente proprietaria dei figli della coppia. 
Una sorta di patria potesta' che garantisce braccia da mandare al campo, in citta' o forse al macello.

In tutto questo non teniamo in considerazione alcuni aspetti:
-il ruolo della figlia/ragazza/donna/futura sposa.
- i futuri pargoli

E se lei non fosse stata consenziente?
Se la "prova" fertilita' non fosse null'altro che una violenza sessuale continuata nel tempo?
Se non volesse avere figli, famiglia e vita domestica o semplicemente non volesse avere un lui o lui?


Durante l'epoca della colonia, i portoghesi hanno pensato bene che non fosse necessario disciplinare la successione e la questione delle terre  e della loro compravendita, attraverso regolari titoli di proprieta'. 


Sono arrivati gli indonesiani e tra i vari casini sopraggiunti e' arrivato un nuovo ordine: emettere titoli di proprieta'! 
Il piccolo problema e' che nel corso degli anni, piu' persone, per tradizione, famiglia e ora diritto, si sono trovati a disputarsi quel ormai piccolo e parcellizzato fondo. 
Voi sapete meglio di me che cosa voglia dire terra in un paese in via di sviluppo, rurale, senza un'industria e un mercato di esportazione.

Finisco col botto.

Caso A: ho una figlia adolescente con un ritardo e insieme a mia moglie vado a lavorare la terra, lasciando che mia figlia, rimasta sola a casa, venga violentata da un vicino.

Caso B: ho una moglie ma me la spasso con almeno altre due donne (dalle quali avro' dei figli) e poi vengo scoperto.

Caso C: ho rubato.

Caso D: ho diffamato.

Caso F: ho ucciso.

(e cosí via fino alla Z o altre lettere misteriose di altre misteriose lingue perse per la galassia).

Che cosa voglio dire con tutta questa storia?
Che a Timor tutto quello che e' penale e civile si risolve con un negozio avente come natura una sola e consentita riparazione: la transazione economica.

Questa patrimonialita' del dolo, del delitto o semplicemente della vita relega la vittima ai margini di ogni contesto. 

La vittima e la sua testimonianza non hanno senso in quanto non esistono
"a lei va bene questa soluzione", dice il padre della violata. 
"se la sara' cercata" dice la madre dell'ammazzato che ha appena pattuito i 50 mila dollari con la famiglia dell'Assassino che non andra' in galera (tutto vero).

Poi arrivano gli indonesiani, fanno mattanze e torturano, vengono condannati da un tribunale internazionale e gli "stranieri" avviano la riconciliazione.

Che ruolo avranno avuto questa volta le vittime?

Francesco
(Grazie per la lunga e faticosa lettura)


venerdì 12 dicembre 2014

Francesco - Parte seconda: morire in 10 regole

Genocidio è ammazzare così tanta gente in un colpo solo, per più giorni consecutivi, forse mesi, forse anni, in tutti i modi impensabili e low cost (perché le pallottole costavano )

Il Post-Mortem  è il non sapere come fare per sbarazzarsi dei corpi, come ammassarli, come spargere il DTT per non fare emergere il fetore, soprattutto quando la terra inizia a gonfiarsi per i gas dalle carcasse.

Carcasse di ogni genere, per ogni gusto o parabola della malanima Pol Pot, l'uomo che sognava l'uguaglianza e la purezza dello stato contadino e comunista della Cambogia e che, tra il 1975-79 ha mandato al macello un quarto della sua gente.

Per i Dissidenti
"corpo cambogiano, testa vietnamita" 
Tradotto:fossa comune con un'infinità di corpi dalla testa mozzata e mai ritrovata.

Per gli Accusati e i Denunciati
"E' meglio uccidere un innocente che risparmiare un nemico per errore" 
Tradotto: centri di prigionia e tortura, uccisione nei campi di concentramento a colpi di martello, badile, corteccia di palma da zucchero.

Per Donne e Bambini
"Per disfarsi delle erbacce si devono strappare le radici"
Tradotto: donne denudate costrette, prima di morire a vedere morire i figli e i neonati presi e scagliati con forza contro il tronco di un albero, in modo da far polverizzare le cervella (la colpa  è essere figli e mogli degli accusati, dei traditori, dei nemici).

Per il Popolo Nuovo, ovvero insegnanti, professori, professionisti di ogni genere, gente con gli occhiali:

"Non c' è vantaggio nel tenervi qui, non c' è svantaggio nel perdervi"
Tradottola paranoia e la follia di una persona che ha agito con il placet dei benpensanti e che è morta senza pagare, vecchia, nella sua casa, sommersa dall'affetto dei nipoti che ha coccolato e visto crescere (loro).

17 Aprile 1975: Arrivano i Khmer Rossi!!! La Phnom Penh liberata era in festa.
Due settimane più tardi Phnom Penh era deserta.

Questa è la storia di un popolo che  è stato obbligato a triplicare il riso.
L'autosufficienza a costo di essere deportati verso le campagne, a costo di morire di fame o semplicemente di morire e basta.

Le scuole vengono chiuse e convertite in luoghi di morte. Dove prima si coltivava il futuro, ora si sentono i lamenti dei condannati al supplizio che non sanno il perché' stanno marcendo oppure quale delle 10 regole hanno appena infranto.

Il Fight Club cambogiano:

1.Devi dare una risposta pertinente alla mia domanda. Senza girarci intorno;
2.Non nascondere le prove usando dei pretesti o le tue ipocrisie. E' assolutamente vietato rispondermi;
3.Non fare l'imbecille. tu sei l'uomo che si oppone alla Rivoluzione;
4.Rispondi immediatamente alle mie domande senza il tempo di riflettere;
5.Non parlarmi più degli errori commessi e non parlarmi ora dell'essenza della Rivoluzione;
6.Durante le bastonate o l'elettroshock, e' vietato piangere;
7.Restare tranquillamente seduti e aspettare gli ordini. Se non ci sono ordini, non fare nulla. Se ti chiedo di fare qualche cosa, falla immediatamente senza protestare;
8.Non usare il pretesto del cambogiano per nascondere un segreto o il tuo tradimento;
9.Se non rispetti le regole finora citate, prenderai molte bastonate o scosse elettriche;
10.Disubbidire a ogni punto comporta bastonate o cinque scariche elettriche.

Questa  è la storia di un trauma collettivo che ha fatto della Cambogia odierna una terra di sconosciuti, dove si vive ognuno con il proprio diritto ad andare avanti come meglio si crede. Dove la religione non conta, la nudità dei bambini e la loro elemosina in strada non conta, la vita negli slums non conta, il vagabondaggio e la corruzione non contano. Dove si parla di povertà estrema e nuovi ricchi che si lavano i macchinoni, dove tutti vanno a mignotte a Siem Reap, dove si gioca d'azzardo e si mangia merda all'ombra di un binario in disuso, tra polli, quaglie, pattume putrefatto e umanità alla deriva.

Si parla di Riparazione e di lavoro di memoria storica per le future generazioni, di infiniti progetti finanziati con l'obiettivo di "educare" (perché la ciotola di riso non  è sostenibile) quando il futuro non sarà  null'altro che  perpetrare gli stenti e la vita in strada del presente.

Timor Est e Cambogia sono le nostre prime due reti attivate in Asia.
Stiamo al fianco degli attori locali al centro di una grande sfida chiamata lotta alla miseria, riconciliazione e risposta comunitaria ai conflitti.

Qui entrate in gioco voi, voi che con il solo compromesso di stare al passo di questi intrecci, dovete necessariamente prendere partito e scegliere cosa fare di questi cinque minuti di lettura.
Buttarli o metterli dentro una siringa e farci un bel botox alla realtà italiana.

Segue.

Francesco

martedì 2 dicembre 2014

Francesco - Tu chiedimi se si può perdonare (un'introduzione alla giustizia)

Questa è  la storia di un uomo come tanti che sta dormendo con la sua famiglia in un angolo della sua stamberga.
Dorme sino all'arrivo degli spettri sinistri  travestiti da militari indonesiani.
L'uomo viene spinto via, di colpo tolto dall'unico mondo possibile e conosciuto, forse per la pelle, forse per la lingua, forse perché' uomo e forse per altre mille cose che sarebbero comunque e magicamente apparse nella sua cedola di identificazione.
L'uomo come tanti viene accompagnato a un elicottero che si sta lentamente zavorrando di tanti altri cerchi rossi sulla lista dei militari.
L'elicottero decolla in direzione mare. Forse lontano da Baucau, da Dili, da Timor, forse a Jakarta, forse altri posti. 
Giunti al punto geografico da dove si può' ammirare dall'alto una profondissima distesa di infinito mare, inizia la discesa. 

Non quella dell'elicottero. 

Quella delle persone gettate in mare.

Come dei tanti Icaro, bombe o cubi di grandine, i cerchi rossi trovano un duro impatto con l'oceano, vanno sotto e riemergono a galla, iniziando lentamente a gonfiarsi e assumere pose innaturali. 

L'uomo che fino a qualche ora prima cercava il sogno ristoratore al fianco di una moglie e tanti figli è  lì, immerso fino al collo in un mare di morti, miracolosamente in vita. 
Dall'alto, la missione viene dichiarata compiuta, la lista è stata interamente cancellata, gli spettri possono fare ritorno alle loro vite ordinarie. 

Non si sono accorti che c'è  un uomo, un numero, che si sta aggrappando ai cadaveri per rimanere in vita. 
Un testimone, una vita incredibilmente spezzata che bluffa per semplice spirito di sopravvivenza.

Questa è  la storia di due donne.
La prima è una donna di mezza età che si trova a Dili, all'interno di una vecchia prigione portoghese convertita in un centro di detenzione e tortura per dissidenti e persone non gradite al regime militare indonesiano.
La seconda è  una ragazzina poco più che adolescente che si sta recando in visita al qui sopra citato centro, per incontrare la qui sopra citata donna, che poi altro non è che sua madre.

Inutile dilungarsi quando il finale di questa storia segna e segnerà l'inizio di nuove vite.

Alla ragazza viene chiesto di porgere la razione di pasto alla propria madre.
Oggi c'è  zuppa, ma nessuno si ricorda che cosa contenga. 
Piatto bollente nei miraggi dell'equatore.
Quello che intendo per porgere, i militari intendono forzare la figlia a colare il brodo bollente sulla testa della madre.

Ora, secondo voi dopo venti anni di memoria e una dichiarata riconciliazione tra popoli, è possibile che queste tre persone abbiano potuto perdonare?

Se si e sempre secondo voi, come è stato possibile farlo?

Segue.

Francesco



lunedì 1 dicembre 2014

Claudia - "La nostra vera casa"

Eccoci di nuovo qui a condividere con voi altre storie di Timor.

 dove il portoghese è la lingua ufficiale, ma chi è nato durante il periodo dell’occupazione indonesiana (o poco prima) non lo parla e i maestri di oggi, che devono insegnarlo nelle scuole, sono obbligati a seguire un corso intensivo di tre mesi per impararlo.
 dove per l’educazione si investe all'estero. I giovani migrano per studiare, per formarsi; vanno in Indonesia, qualcuno in Europa, altri nelle Filippine. Poi tornano (chi lo fa) e si trovano con una preparazione che però non trova collocazione.

Questa é la storia di centoventi storie, quelle che puoi leggere negli occhi delle bambine e ragazze dell’orfanotrofio di Venilale, un villaggio a circa 150 km dalla capitale Dili. 
Ci si arriva dopo ore di buche, curve e polvere che ti si incastra fin nei capelli e il mare, alla tua sinistra, tanto celeste da sembrare irreale che si intrufola pacifico in quel paesaggio selvaggio.

Forse per noi è strano sentir ancora parlare di orfanotrofi. Ormai si tratta di una parola in disuso. Oltretutto è uno di quei termini che forse ci riporta alla mente accezioni puramente negative.

Ma non qui, dove orfanotrofio significa semplicemente casa, o meglio, come dicono i sorrisi che lo popolano “la nostra vera casa”.

Dove  per casa non si intende tanto il tetto sopra la testa o il letto sul quale dormire, piuttosto un luogo dove sentirsi bene, al sicuro.

Dove sono felice semplicemente perché tu lo sei; dove non serve essere arrabbiati.

Dove il sapore del riso e lenticchie alternato a riso e fagioli, riesce ad essere sempre diverso anche se lo vedi tutti i giorni per pranzo e cena, e la domenica è il giorno del pranzo speciale, perché magari c’é un po’ di verza.

Dove chi sei, il tuo nome, la tua storia sono sempre speciali anche se qui si è in tanti.

Dove ogni sera, viene l’ora della buona notte, quando ci si riunisce per augurarsi l’un altra un sonno tranquillo e bei sogni, prima che le luci si spengano.

E non si parla solo di bambine orfane. 
Qui arrivano anche le figlie dell’abbandono (che sono tante), le “vittime” innocenti della disgregazione familiare o della violenza.
A Timor, come in altri paesi che abbiamo incontrato durante il nostro cammino, le relazioni e l’amore sono labili; la vita è oggi e a domani penserò domani.
Ci si separa con facilità; ci si ricostruisce una nuova famiglia; si migra per lavoro o studio e ai figli, qualcuno ci penserà
Spesso, l'incesto, l'abuso sono percepiti come normalità

Questa è anche la storia di chi come Suor Letizia, suor Joana e Suor Alma, a Timor ci vivono da più’ di 20 anni e nell'educazione (di qualità) ancora ci credono e ci investono.
Sono ogni giorno al fianco di queste bambine e queste ragazze; non regalano speranze o sogni, piuttosto offrono loro opportunità

In fondo sono proprio loro le donne e le madri di domani. 

Claudia